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Zone 30, tra realtà e… immaginazione

Le “isole ambientali” e le “zone 30” sono utili per quadranti cittadini limitati. Chi le invoca in tutta la città, come panacea per il traffico e la sicurezza stradale, spesso ricorre ad argomenti e dati non corretti

Le “zone 30”, come sappiamo, sono aree urbane in cui è fissato il limite di velocità di 30 km/h. Invece le “isole ambientali” sono, per così dire, zone 30 più invasive: non solo è posto un limite di velocità basso, ma vengono anche realizzati interventi urbanistici – restringimenti di carreggiata, attraversamenti pedonali protetti, strade interdette completamente al transito e alla sosta, ecc. – per scoraggiare (o addirittura inibire) la circolazione delle automobili.

Si tratta di misure che possono essere utili nei quadranti che presentano le caratteristiche adatte: strade strette non di scorrimento, senza marciapiedi.
Ma possono diventare inutilmente deleterie se non attentamente programmate (o addirittura se utilizzate come cavalli di Troia di una generale “guerra” contro le automobili): ad esempio quando si ha la pretesa di far diventare “zona 30” l’intera città o comunque di rallentare inutilmente – con danno della fluidità della circolazione – le arterie di scorrimento (per arterie di scorrimento non intendiamo ovviamente solo le grandi tangenziali e arterie che si possono percorrere a 70 km/h, ma tutte le strade che – presentando larghezza e condizioni di visibilità sufficienti per la marcia a 50 km/h – costituiscono strade di viabilità principale, sia di attraversamento dei quartieri sia di spostamento all’interno dei quartieri stessi, ).

Serve quindi un attento confronto tra costi e benefici; con un’analisi completa e onesta delle situazioni su cui si incide e dei dati disponibili (o con l’impegno a raccogliere tali dati in maniera accurata). Requisiti spesso mancanti, purtroppo, nelle analisi dei fautori di queste misure…

Quali sono i “benefici” attesi?
Ce li riepiloga un articolo sul tema delle zone 30 pubblicato sul sito di analisi economica lavoce.info: “ridurre l’inquinamento (compreso quello acustico) e i consumi energetici, incentivare la cosiddetta mobilità attiva (andare a piedi e in bicicletta), ridurre lo stress legato agli spostamenti, rendere la città più a misura di persona, aiutare l’economia locale. Il tutto senza aumentare i tempi di percorrenza”.
Lo stesso articolo si interroga: “Sono argomenti credibili? Qualche dubbio sorge: se alcune affermazioni sono vagamente supportate da “innumerevoli studi scientifici” o da report di organismi internazionali, altri nessi causali adombrati – come per esempio quelli sullo stress, sulla città a misura di persona, sullo stimolo all’economia locale – sono solo dei desiderata densi di rimandi valoriali, ma privi di supporto empirico”.

Partiamo dall’aumento di sicurezza per i pedoni e i ciclisti che deriverebbe dalla velocità ridotta: l’analisi degli effetti derivanti dall’introduzione delle zone 30 attesta che i benefici sulla sicurezza non sono quelli attesi.

I fautori delle zone 30 si soffermano sul fatto che l’impatto di un incidente a 30 km/h può produrre a pedoni o ciclisti danni minori di uno a 50 km/h.
Si tratta però di pure astrazioni.
A parte il fatto che, secondo questa logica, l’impatto a 30 km/h produce danni maggiori di uno a 20 o a 10 km/h (che può pure essere fatale per una persona anziana o con patologie): nella ricerca del “rischio zero” meglio non muoversi affatto…
Il fatto è che ogni elementare analisi di risk management insegna che la misurazione dell’impatto di un potenziale evento avverso deve essere rapportata alle probabilità dell’evento stesso.

Chiariamo innanzitutto che stiamo parlando di limiti a 30 km/h generalizzati, quindi di zone 30 e isole ambientali “estese”, ricomprendenti le arterie di scorrimento (limiti di 30 km/h si possono ovviamente fissare senza controindicazioni nei tratti pericolosi di queste strade, come anche nelle strade più strette e senza marciapiede; anzi, tali limiti sarebbero semplicemente un rafforzativo di quanto già prevedono le norme dell’art. 141 del Codice della strada, il quale obbliga i conducenti ad adeguare la velocità alle condizioni delle strade).

Ebbene, bisogna aver chiaro che con limiti generalizzati a 30 km/h non si tratta di eliminare tutti i rischi dovuti a velocità eccessive. Infatti, i rischi – e gli incidenti – si verificano innanzitutto per il mancato rispetto di regole che ci sono già: norme relative ai limiti di velocità (da parte di chi non rispetta quello dei 50 km/h o non adatta la sua velocità alle condizioni della strada) o altre norme di guida (precedenze, ecc.). Se non si fanno rispettare le regole, i rischi continuano a proporsi anche con limiti di velocità più stringenti.
Piuttosto, abbassando i limiti si tratta di eliminare, in astratto, una fattispecie di rischio molto più ristretta: quella per incidenti che potrebbero verificarsi – in strade larghe e con ottimali condizioni di visibilità, con conducenti che rispettano il codice della strada – alla velocità di 35/40/45 km (vanno quindi eliminati dal computo tanto quelli che quelli che potrebbero verificarsi a velocità superiore a 50 km/h quanto quelli a 30 km/h: se investo qualcuno perché guardo il cell., può accadere a qualsiasi velocità…).
Che rilievo statistico – quali probabilità da rapportare all’impatto – hanno questi rischi così circoscritti?
Ha senso imporre obblighi e limiti generalizzati, imporre pesanti costi sociali per ottenere benefici remoti?

Guardiamo anche i dati concreti, attingendo al già citato articolo di lavoce.info. In esso i dati degli incidenti stradali delle zone 30 di Bologna (quelle istituite prima della recente estensione generalizzata del limite) nel periodo 2014-2021 vengono messi a confronto con quelli delle zone in cui tale limite ancora non vigeva: ebbene, dall’analisi di tali dati – effettuata con criterio davvero scientifico, e non con la “scienza” un tanto al chilo invocata da chi maneggia dati con improvvisazione – emerge che nelle zone 30 “il nuovo limite non ha fatto diminuire l’incidentalità”.

Come si spiegano allora i dati di altre città, solitamente proposti dai fautori delle zone 30, che vantano riduzioni di incidenti?
Nella maggior parte dei casi la riduzione è dovuta al fatto che all’introduzione della zona 30 si sono affiancati controlli che prima mancavano: gli incidenti diminuiscono, certo, ma non perché si abbattono gli effetti – statisticamente residuali – degli incidenti a 35/40/45 km/h, bensì perché rallentano quelli che anche prima andavano a 60/70/80 e nessuno sanzionava.
I dati vanno analizzati con serietà, disaggregandoli nelle diverse componenti…

Peraltro il numero di incidenti e di morti nelle strade è già in costante diminuzione da anni. Ovviamente si può e si deve accrescere ulteriormente la sicurezza; ma con misure davvero utili, come cerchiamo di evidenziare nel più ampio articolo sulla mobilità “sostenibile” e sulle misure di “mitigazione del traffico” (spesso utilizzate per condurre una “guerra” alle automobili, più che per accrescere la sicurezza).

Quanto ai presunti benefici per l’ambiente che deriverebbero dall’introduzione di zone 30 e isole ambientali estese, in realtà accade il contrario: abbiamo ricadute negative.
I consumi a 30 km/h, infatti, sono superiori a quelli a 50 km/h. Per le macchine elettriche (studi fatti sulle Tesla) la velocità ideale per ottimizzare i consumi è proprio di circa 50 km/h. Mentre per quelle a energia termica i consumi minori sono tra i 50 km/h (per i veicoli molto pesanti) e gli 80 km/h (per le berline).
Senza contare che in molte zone 30, e soprattutto nelle isole ambientali, alla riduzione dei limiti di velocità si affiancano altri interventi di “mitigazione del traffico” che in realtà il traffico lo aumentano: carreggiate più strette, riduzione di posti auto (e conseguenti giri per trovare parcheggio)…
Laddove vengono sventolati miglioramenti della qualità dell’aria nelle città che hanno già introdotto zone 30, bisogna osservare che gli stessi benefici – o maggiori – ci sono nelle città che non le hanno introdotte!
Ancora una volta: i dati vanno analizzati con serietà, disaggregandoli nelle diverse componenti.

Quanto ai restanti benefici dichiarati (“rendere la città più a misura di persona”, ecc.), si tratta – come evidenziato nell’articolo citato – di “desiderata densi di rimandi valoriali, ma privi di supporto empirico”.

Intendiamoci: non stiamo dicendo che questi benefici non esistano in assoluto. Porzioni di aree urbane che hanno esclusivamente strade strette e senza marciapiedi possono certamente essere rese più vivibili con una maggiore attenzione ai pedoni.
Però la rilevanza di tali benefici, e quindi l’estensione delle aree interessate, non può essere enfatizzata senza metterla a confronto, come ricordato inizialmente, con i “costi” dei provvedimenti di cui stiamo parlando.

Abbiamo già detto dei costi ambientali.

Prendiamo anche in considerazione i “costi” sociali derivanti dall’aumento dei tempi di percorrenza (costi che si possono misurare sia in termini economici sia di perdita di opportunità familiari, sanitarie, culturali, ricreative).
Questi aumenti dei tempi sono minimi per brevi percorrenze e/o nelle strade molto trafficate in ora di punta e/o per spostamenti saltuari; quindi per quadranti cittadini di estensione contenuta e senza arterie di scorrimento.
Gli aumenti dei tempi diventano rilevanti per percorrenze più lunghe, in tratti (o nelle ore) meno trafficati delle arterie di scorrimento e per spostamenti frequenti; soprattutto in città come Roma, che hanno una superficie estesa e spesso non offrono un’efficace alternativa di trasporto pubblico.

Gli argomenti portati a sostegno di una presunta “neutralità” dei limiti di 30 km/h sui tempi di percorrenza non sono corretti.
Si citano le statistiche sulla velocità media nelle città, che spesso è inferiore ai 30 km/h; dimenticando che si tratta di velocità media complessiva, in cui si compensano soste al semaforo o in fila – nelle ore di traffico – e tratti con percorrenza a 40/50 km/h o anche 70 nelle tangenziali. Se fosse imposto un limite generalizzato di 30 km/h, la media calerebbe ulteriormente. Per non parlare della velocità media nelle ore di scarso traffico, che crollerebbe.

A sostegno della bislacca idea secondo cui con le zone 30 i tempi di percorrenza non aumenterebbero, girano anche grafici e schemi “farlocchi”…
Come quello che si sforza di evidenziare che le automobili, a velocità maggiori, necessitano di distanze di sicurezza maggiori e quindi occupano porzioni maggiore di sede stradale; il che faciliterebbe la congestione del traffico. Argomento insensato, perché se le macchine sono in numero tale da occupare uno spazio maggiore di quello disponibile, devono necessariamente rallentare e ridurre la distanza di sicurezza, senza bisogno di nessun limite di velocità! Se però sono in numero ridotto – nelle ore non di punta, in tratti meno frequentati -, possono procedere tranquillamente, senza dover sottostare a limiti insensati in quel contesto.

Purtroppo molti dei dati “scientifici” che circolano, a sostegno degli interventi di “mitigazione del traffico”, di scientifico non hanno niente: sono dati tagliati e cuciti ad arte, per comporre documenti propagandistici (anche quando diffusi dai Comuni che hanno introdotto le zone 30, i quali hanno l’evidente interesse politico a difendere il proprio operato).

Tornando perciò al punto da cui eravamo partiti: un’analisi accurata e intellettualmente onesta, attenta al confronto tra costi e benefici, può guidarci nell’individuare le situazioni concrete in cui zone 30 e isole ambientali sono utili.
La foga di attuare queste misure a tutti i costi, ignorando le situazioni in cui sono controindicate, è invece espressione di atteggiamenti meno apprezzabili: un entusiasmo un po’ superficiale per una soluzione solo apparente ai problemi; il desiderio di imporre stili di vita personali (che non tengono conto di esigenze diverse e situazioni più complesse); o anche la ben più pericolosa e ideologica “guerra” alle auto.

P.S.: a Berlino si sta discutendo l’eliminazione dei limiti di 30 km/h . La motivazione ufficiale – per giustificare la marcia indietro – è che i dati sugli obiettivi da raggiungere (sicurezza, ambiente) sono migliorati a sufficienza.
La verità, come abbiamo attestato in precedenza, è che questi miglioramenti non dipendono dal limite dei 30 km/h. Per cui la cittadinanza inizia a essere stufa dell’inutile penitenza…

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