Nella progettazione del nuovo quartiere il verde era un elemento caratterizzante di tutti i villini; ed era prevista una cintura agricola intorno all’abitato. Anche per questo furono pensati solo due spazi destinati a parco: erano due spazi che si riteneva di dover risparmiare dall’edificazione per il loro particolare significato.
Il primo è il parco attualmente dedicato a Caio Sicinio Belluto (uno dei primi tribuni della plebe), situato tra corso Sempione e il tracciato originario di via Nomentana. Qui sorgeva una vasta necropoli, come attestano anche i resti di due antichi mausolei. Altri resti meno importanti purtroppo non furono conservati quando l’area fu risistemata all’epoca della realizzazione di Città Giardino.
Il secondo spazio che fu destinato a parco, appena più a sud, è la pinetina che sorge sull’antico “Monte Sacro”, che dà il nome al quartiere.
Il “monte” è in verità una collinetta di altezza abbastanza modesta, circa 35 metri s.l.m. Qui, secondo gli autori romani – Cicerone, Tito Livio, Valerio Massimo -, si verificarono nella prima metà del V sec. a. C. le celebri secessioni della plebe (gli stessi storici ritenevano questa ricostruzione più attendibile di quella che individuava il luogo della secessione nell’Aventino). E qui Menenio Agrippa pronunciò il suo celebre apologo sul corpo e le membra.

Si parlò sin dall’antichità di “Sacer Mons”, perché i plebei vi avevano eretto un’ara a Giove Terrifico.
Alla fine degli anni Novanta e nei primi dopo il Duemila furono organizzate dal prof. Giovanni Sozi alcune imponenti rievocazioni storiche delle secessioni della plebe: decine di figuranti in costume – e anche alcune bighe di cavalli! – sfilarono per le vie del quartiere, confluendo sul Sacer Mons per rappresentare il confronto tra patrizi e plebei.
Nel 2005 il parco è stato intitolato a Simon Bolivar, uno dei protagonisti delle lotte di indipendenza del Sud America, che due secoli prima sul Monte Sacro aveva prestato solenne giuramento di lottare per la libertà della sua terra.
(A Simon Bolivar era dedicata in origine una piazza di Città Giardino, rinominata – dopo la guerra – piazza Menenio Agrippa. E lo stesso Bolivar è tutt’ora ricordato in una targa posta sulla scuola Don Bosco. Ci sia concessa una domanda: se proprio si voleva dedicare un ulteriore sito al “libertador” venezuelano – a Roma c’è già il piazzale di Valle Giulia, con la statua equestre -, lo si doveva fare sovrapponendo questa intitolazione alla millenaria, e ben più importante, storia del Sacer Mons? E – per sovrappiù – occupando il sito con un memoriale donato dal “controverso” presidente Chavez?).
Sotto il parco, durante la Seconda Guerra mondiale, era stato costruito un rifugio antiaereo, di cui si era persa memoria e che è stato riscoperto nel 2016, durante lavori di ispezione del sottosuolo.
I due Mausolei
Venendo da Roma lungo l’antico tragitto di via Nomentana, oltrepassato il vecchio Ponte Nomentano, sulla destra si erge la collinetta del Sacer Mons e sulla sinistra – ma anche più avanti, lungo il percorso – troviamo l’area dove si sviluppava una vasta necropoli. Di questa rimangono, a lati della strada, i resti di due antichi mausolei di età imperiale.
Si possono ancora osservare le strutture con base in calcestruzzo e blocchi di tufo. Sono stati ovviamente asportati, nel corso dei secoli, i rivestimenti realizzati con lastre di travertino e marmo.
Il mausoleo di destra, più piccolo, è situato in un giardino privato.
Il mausoleo di sinistra, il più imponente, si trova all’interno del parco Caio Sicinio Belluto. Tradizionalmente viene chiamato “Mausoleo di Menenio Agrippa”, per la vicinanza al Sacer Mons: si tratta di un’attribuzione ovviamente incongrua, perché il celebre personaggio visse circa sei secoli prima della realizzazione del manufatto. È menzionato – insieme con il Ponte Nomentano – anche da Stendhal, nelle sue Passeggiate romane, come meta di una gita fuori porta il 18 aprile 1828: “Abbiamo portato con noi panini e caffè alla tomba di Menenio Agrippa, patrizio gioviale e di buon senso che le nostre compagne conoscevano grazie alla tragedia di Shakespeare (il Coriolano)”. L’ingresso è stato murato negli anni Novanta, per evitare che l’interno fosse oggetto di degrado.
(notizie storiche da Giovanni Sozi, Montesacro. Antico e Nuovo, Roma 1994).